Una delle parole più utilizzate dai media negli ultimi è body shaming, un’espressione che significa “far provare vergogna del (proprio) corpo”. Perché se ne parla? Il body shaming è una forma di bullismo attraverso il quale si colpisce l’aspetto fisico delle persone, giudicandone le forme, soprattutto tramite i social network. I social sono un pericoloso amplificatore di questo fenomeno che comunque possiamo ritrovare negli ambiti scolastici, sportivi ma anche nel normale quotidiano: senza distinzione di sesso ed età. Il body shaming aumenta le insicurezze, mette in discussione se stessi, ci fa sentire oppressi dai canoni imposti dalla società. Tutti questi giudizi possono destabilizzare la salute fisica e psicologica, cui possono conseguire vere malattie psicosomatiche invalidanti. Le esperienze negative della vita, come questa forma di bullismo, l’essere presi in giro, gli abusi e i traumi, e le pressioni o le aspettative relative alla bellezza da parte della società possono scatenare la dismorfia e conseguente dismorfofobia cioè la paura che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto esteriore, causata da un’eccessiva preoccupazione della propria immagine corporea. Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo, o Dismorfia, è grave ma spesso viene sottovalutato: solo negli ultimi due decenni è stato studiato in modo continuo e sistematico. È importante comprendere che non si tratta di vanità: il dismorfismo corporeo è una malattia della psiche che fa sì che il malato percepisca se stesso come imperfetto, esagerando dei piccoli dettagli. Ne parliamo con il Prof. Paolo Morselli, chirurgo estetico, esperto in malattie psicosomatiche e autore del volume Metamorfosi in chirurgia plastica (Tecniche Nuove) dove una sezione è dedicata appunto alla dismorfopatia.
Prof. Morselli, in che misura può essere causa di ansia e la depressione la dismorfia corporea?
La disarmonia, sia interessi viso, corpo o arti, può determinare stati di insoddisfazione. Non sempre la presenza di un’imperfezione è però causa di malessere, parecchie persone sembrano stare bene nella propria pelle ed essere sicure di se stesse. Quando introietti una buona immagine di te, ti senti bene ma appena essa viene criticata l’angoscia e la mancanza di fiducia fanno la loro comparsa. È ovvio che non esiste sempre una perfetta coerenza tra l’immagine che abbiamo di noi stessi e quella che ci viene rimandata dagli altri. L’effetto specchio non è sicuro per cui è conseguente che il “body shaming” diventi per parecchie persone causa di patologie depressive. La discordanza, sempre più amplificata dai social, con le forme armoniose e quasi perfette diventate il canone della bellezza a cui bisogna tendere, ripeto pubblicizzate ed amplificate dai social, sicuramente è destabilizzante.
Possiamo dire che la dismorfia può portare a uno stress emozionale e incapacità di tessere adeguate ed equilibrate relazioni sociali e sessuali, con conseguente isolamento sociale?
Si. Io paragono l’inconscio a un grande lago nel quale albergano draghi che rappresentano le nostre paure e debolezze. Noi navighiamo sulla superficie. Nei momenti di squilibrio un drago risale in superficie e minaccia di capovolgere la nostra barca. Ecco una situazione imprevista alla quale dobbiamo rispondere velocemente. Arriva così uno stato di crisi. Essere vittima di bullismo per un “difetto fisico” o focalizzare il pensiero su una dismorfia, sia essa oggettiva o soggettiva, fa salire in superficie draghi che sviliscono l’immagine che una persona ha di se stessa, la fa sentire svalorizzata. È una situazione che non aiuta nelle relazioni sociali e soprattutto sessuali dove le difese personali sono attutite da passione o amore per il partner. Può accadere che la scelta dell’isolamento sociale sia l’unica forma che appare come difesa.
Lei ha messo a punto una serie classificazione delle dismorfopatie somatopsichiche che ha lo scopo di migliorare la diagnosi e rendere più specifico e appropriato il trattamento terapeutico. Le ha definitive oggettive e soggettive con una scala di valori che vanno da lieve a grave. Può descrivere in dettaglio questa classificazione?
La classificazione si base sulla convinzione dell’approccio psicosomatico nella valutazione delle esigenze del paziente. Ritengo che tutte le branche della medicina e della chirurgia debbano essere coinvolte in questo. Ho coniato il termine “dismorfopatia” – neologismo derivante dal greco antico dove il prefisso “dis” indica la difficoltà, il termine” morpho” la forma e la parola “pathos” emozione e sofferenza – per una migliore comprensione della relazione tra psiche e soma.
La prima divisione è fatta sull’obiettività e sulla soggettività. Se parliamo di dismorfopatie obiettive, ci riferiamo ad anomalie evidenti a ogni osservatore, prendo come esempio le malformazioni del volto. È chiaro che la chirurgia plastica ricostruttiva svolga un ruolo importante se non indispensabile nella risoluzione di questo disagio.
Diversa è la dismorfopatia soggettiva, quasi sempre quella che porta le persone ad affrontare interventi di chirurgia estetica. Intendo quella dismorfopatia determinata da un difetto fisico non disfunzionale, per lo più estetico. In questo caso la scala di valori, che va da lieve a grave, dipende da quanto l’inestetismo influisce sulla psiche del paziente, la chirurgia plastica estetica può essere un’ottima soluzione.
Come ho detto in precedenza non accettare il proprio corpo può portare a stati d’insofferenza e in alcuni casi a stati di depressione con ossessioni anche su inestetismi inesistenti. È ovvio che pazienti fortemente condizionati dall’inestetismo e sottoposti a critiche costanti, come avviene nel body shaming, possano vivere situazioni personali fortemente disagevoli. In questi casi sottolineo la necessità di un approccio psicosomatico nella valutazione della possibilità di risoluzione solo chirurgica del problema.
Quanto può essere risolutivo per il paziente ricorrere alla chirurgia plastica se il paziente ritiene il suo difetto completamente invalidante?
Nel caso di dismorfopatie oggettive la chirurgia plastica aiuta moltissimo perché permette il ripristino della funzionalità o la correzione, almeno in parte, della malformazione. Diverso è se consideriamo pazienti con dismorfopatie oggettive. L’inestetismo non è invalidante di per sé, viene visto tale dal paziente. Intervenire con la chirurgia plastica estetica può essere risolutivo o solo palliativo dipende dalle motivazioni profonde che spingono il paziente a considerarsi “invalido”. Posso dire che nella mia esperienza ho visto tantissime persone ritrovare serenità e autostima dopo un intervento di chirurgia estetica. Casi in cui una lipoaspirazione, una mastoplastica additiva, una rinoplastica o una addominoplastica hanno riequilibrato il rapporto del paziente con il proprio corpo.
Penso che ognuno di noi abbia l’immagine del proprio corpo scritta nella psiche, avvicinarsi a questa immagine fa stare meglio le persone nella propria pelle.
Possiamo fare alcuni esempi di sue esperienze di cui hai potuto seguire l’evoluzione psicologia nel corso degli anni?
Le specialità mediche chirurgiche che ho scelto mi hanno portato a trattare pazienti affetti da anomalie cranio facciali, in particolare pazienti con labiopalatoschisi. Dopo i primi interventi funzionali eseguiti nel periodo che va dalla nascita all’adolescenza, si affronta il problema estetico. Quindi interventi come revisione cicatriziale del labbro e ricostruzione dello stesso, rinosettoplastica secondaria, lipofillig per ricostruire i volumi. È un periodo molto difficile per i pazienti e per i loro genitori. Gli interventi di correzione estetica si eseguono in quella fase della vita che è un passaggio verso l’età adulta, le aspettative dei pazienti sono molto alte. Per capire come i risultati estetici possano esser stati importanti, so che moltissimi di questi pazienti hanno approcciato la loro vita da adulti in maniera normale e serena laureandosi , spossandosi avendo dei figli, anche cantando e soddisfacendo grandi passioni.
Che cosa è la chirurgia plastica eumorfica? Quali sono gli strumenti per il suo raggiungimento?
Partendo sempre da una visione psicosomatica penso che l’aspetto esteriore possa spesso influenzare il nostro essere e viceversa. Le possibili vie d’uscita dai conflitti sono o immergersi nel profondo di noi stessi per risalire alla sorgente del problema e sradicare la causa del malessere o cercare di modificare quei caratteri esteriori che destabilizzano, in misura diversa da paziente a paziente, il nostro essere interiore. Questo è il fine cui si dovrebbe mirare in tutti gli interventi correttivi di chirurgia plastica sia estetica che funzionale. Questa è la chirurgia plastica eumorfica: il cambiamento della morfologia esterna in armonia con il cambiamento e l’evoluzione della morfologia interna. L’obiettivo è ritrovare la nostra natura, l’essenza di sé.